Georgia: Ivanishvili non è il messia

di Marilisa Lorusso (18 settembre 2013)

 

Il premier Ivanishvili spiega in una lettera i motivi che sottostanno alla sua decisione di dimettersi. Un lungo excursus che ripercorre le turbolenze, i limiti e le sfide della democrazia georgiana cui le sue dimissioni potrebbero porre una nuova, inedita, prova.

Il Primo Ministro georgiano Bidzina Ivanishvili aveva scosso quest’estate il paese, immerso nel caldo e nella campagna presidenziale, ribadendo la sua volontà a dimettersi. Criticato dall’opposizione, sconsigliato dagli stessi membri della maggioranza, Ivanishvili stupisce di nuovo con la sua originalità. Dopo una battaglia politica durissima per raggiungere il potere, pare volersi liberare di quell’incarico la cui conquista gli era costata addirittura la cittadinanza.

Così come per la precedente decisione di vendere il canale televisivo che era riuscito a lanciare – fra mille peripezie – prima delle elezioni, anche questo passo va in completa controtendenza rispetto ai suoi predecessori, e con una ratio politica di lungo termine che non corrisponde ai tempi e ai modi della democrazia elettiva come si esprime abitualmente. In particolare questa scelta così destabilizzante a ridosso delle elezioni, anche se le dimissioni effettive sono indicate generalmente entro la fine dell’anno, potrebbe non pagare in termini di voti. Ma Ivanishvili pare come sempre imperturbabilmente certo della saggezza della propria scelta, e la motiva con una lettera aperta in cui tocca i punti dolenti della democrazia georgiana.

Una democrazia incompiuta: i limiti del vertice

Il dibattito sullo sviluppo democratico nei paesi post-sovietici ha occupato gli ultimi due decenni fra grandi aspettative, solenni delusioni, valutazioni miste, speranze e scetticismo. La democrazia stessa è spesso al centro del ciclone delle critiche e in una parte di mondo con un retaggio anti-democratico, il suo sviluppo pare spesso più di facciata o normativo che di sostanza e di prassi. La Georgia si è subito confrontata con uno degli eterni dilemmi della democrazia: il bilanciamento fra libertà e autorità, soprattutto in un contesto di secessionismo e scarso ordine pubblico quale era quello dei primi anni ’90. Ed è partendo dal verticismo dell’autorità e dai partiti padronali che parte la lettera di Ivanishvili.

Dopo aver difeso la sua posizione alla luce di quanto aveva dichiarato fin dall’inizio, il governo da lui presieduto e le scelte della maggioranza, Ivanishvili ricorda ai georgiani che “Io non perseguo l’obiettivo di creare un altro super-partito che si fonde con lo Stato, ma di istituire un sistema multi-partitico. Di conseguenza, La Coalizione Sogno Georgiano non è  ‘il mio partito’; rappresenta una coalizione di partiti. In tali circostanze, sia il potere politico che la responsabilità non appartengono al leader della coalizione, ma a partiti che ne sono parte ed ai loro leader. Così l’uscita del leader della corrente di coalizione di governo non è paragonabile a quanto sarebbe accaduto nei precedenti partiti.”

Ivanishvili tocca due temi fondamentali: la coincidenza del partito dominante con lo Stato che così spesso ha portato all’uso delle strutture amministrative e pubbliche a favore del partito dominante nella lotta politica (a questo riguardo si vedano i report dell’OSCE/ODIHR sulle elezioni in Georgia sia la mancanza di democrazia intra-partitica e l’eccesso di personalismo nella gestione del potere. Di fatto i partiti politici di potere post-indipendenza in Georgia sono finora implosi a seguito della caduta in disgrazia del loro leader. E’ stato così per il partito di maggioranza Unione Cittadini di Georgia (1995-2003), scomparso contestualmente all’uscita di scena del suo fondatore Eduard Shevardnadze, o con il partito Rinascita (1992-2004), di maggioranza nella Repubblica Agiara fino alla cacciata del suo leader e fondatore Aslan Abashidze, riparato in Russia dopo la Rivoluzione delle Rose. Partiti dominanti durati quasi un decennio e spazzati via in una tornata elettorale: una sorte per il momento scongiurata dal Movimento di Unità Nazionale di Mikheil Saakashvili, nonostante il notevole ridimensionamento dai 119 seggi del 2008 ai 65 del 2012. Ma il carismatico leader non è ancora uscito di scena.

Una democrazia incompiuta: i limiti della base

“Ho assunto il governo per proteggere la società e siamo riusciti in questo, poiché l’attuale governo è meglio di qualsiasi suo predecessore e la società è protetta come non mai dall’arbitrio delle autorità. Ma la società non dovrebbe essere lasciata a fare affidamento sulla buona volontà delle autorità e non dovrebbe essere in attesa del messia. La salvezza della società è nella sua efficacia, nell’alto senso di responsabilità e nella maturità politica. La società deve trovare un meccanismo attraverso il quale possa controllare il governo e anche esserne partner.”

Così Ivanishvili all’inizio del suo intervento, ma riprende poi il tema del people empowerment per chiarire come si svilupperà la sua attività politica post-dimissioni. Un’attività volta allo sviluppo della società civile che a suo parere – a fronte di un bilancio positivo di un anno scarso al governo – potrebbe richiedere ben più tempo. Sarà dunque, stando a quanto dice, un attivista civile convinto e impegnato a creare un’opinione pubblica artefice e protagonista del proprio destino e governo.

Un elemento di rottura

Il “manifesto di dimissioni” di Ivanishvili contiene notevoli elementi di rottura. Le riflessioni che vi sono contenute non rappresentano un assoluto inedito nei dibattiti e negli studi sul paese, ma che queste divenissero un programma politico non era prevedibile, soprattutto dopo una fase così protratta di durissimo confronto politico e con una transizione di potere ancora in corso, anche se parzialmente consolidata.
Chiedere all’elettorato una prova di accettazione dell’incertezza – difficilmente la coalizione di governo non subirà lo sconquasso del ritiro del suo fondatore – è una sfida non facile. Ha facile gioco ora il Movimento Nazionale Unito a far passare questa scelta come un atto di irresponsabilità ed inaffidabilità.

Ancora una volta il percorso georgiano stupisce: laddove spesso si cercano cavilli, leggi ad personam ed eccezioni per garantire la continuità di potere, si dichiara di voler tentare una ciclopica opera di trasferimento di potere reale dalla classe dirigente all’elettorato. E motore di questo cambiamento sarebbe un protagonista assoluto della classe dirigente.
D’altro canto, il sasso è stato lanciato, ritirare la mano avrebbe pure un suo costo a questo punto in termini di credibilità e coerenza, un prezzo che Ivanishvili pare non propenso nemmeno a considerare.

“Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

 

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